UN GROSSO PESCE PER GROSSI PENSIERI di Luciano Edili
Fa un freddo cane stamattina! Disse Franco, con la sua voce rauca bruciata dal fumo di mille sigarette. Chissà che darei per un caffè bollente, gli risposi.In effetti era un gelo tremendo quella mattina di Dicembre.La luce del giorno era ancora lontana.Rabbrividendo mi alzai il bavero della vecchia giacca militare,fida compagna di mille battaglie sul fiume.Eravamo davanti al portone della casa dove abitava Franco,sigaretta tra le labbra,le canne appoggiate al muro ed i saccapani per terra.Avevamo fissato la sera precedente con Gianni che alle cinque sarebbe passato a prelevarci da quel gelido marciapiede,per una giornata di pesca in Ombrone,interamente dedicata ai cavedani.Ma erano già le cinque e un quarto e quel satanasso ancora non si vedeva.Adesso gli telefono! Sbottò Franco, indicando una vicina cabina telefonica.Stavo per dirgli di aspettare solo un po’,conoscendo il caratterino della moglie del nostro amico che probabilmente a quell’ora sarebbe stato ancora peggiore, quando il rombo di un motore d’auto sportiva bloccò le parole tra le mie labbra.Un’istante dopo con uno stridìo di gomme che forse destò mezzo quartiere,Gianni abbordò l’incrocio a frenò davanti a noi,stile “fermata ai box”di una formula uno e ancora prima che Franco potesse esprimere le sue proteste,Gianni uscendo di macchina bestemmiando ci spiegò la strana storia di una sveglia che non aveva suonato chissà per quale strana causa.Ignorando la pietosa bugia salimmo in macchina o per meglio dire scivolammo dentro a mo’ di anguille in quella velocissima ma scomodissima spider,con il Franco che sul quella specie di sedile posteriore cercava tra un’imprecazione e l’altra di trovare una sistemazione per affrontare il viaggio che ci attendeva.Quindi con la radio al massimo del volume e a velocità sostenuta quanto poteva bastare per essere immediatamente arrestati da una qualsiasi pattuglia della stradale,partimmo alla volta di Buoncovento.Che ci volete fare? Così era fatto Gianni,la cosa sbagliata al momento sbagliato.Così fin da ragazzo ed anche in questa occasione non si era voluto smentire.Infatti,la sera prima,aveva detto:domani si va a pescare con il mio camper e il viaggio sarà comodissimo!E si era invece presentato con la sua spider scomodissima ma che forse lo faceva sentire più giovane.Percorsa a tempo di record la superstrada arrivammo a Siena e visto che avevamo abbondantemente recuperato il ritardo, nel primo bar aperto facemmo un’abbondante colazione e poi via di nuovo decisi a non fare più tappe fino a destinazione.Ed eccoci finalmente sul fiume,al nostro solito posto,al solito posto…il nostro posto dove spesso avevamo fatto ottime catture.L’acqua era chiara e la corrente buona.Unico inconveniente il freddo,veramente intenso mentre stava albeggiando.Dopo circa mezzora di pesca in silenzio ancora non avevamo visto una coda.Fu Gianni a rompere il silenzio incantato: vi ricordate da ragazzi quando si andava a pesca di anguille in Mugnone di notte sotto il ponte della Palancola? Lo guardammo stupiti.Infatti non era da lui parlare del passato…lui che ripeteva sempre che si sentiva più giovane adesso a trentotto anni di quando ne aveva quindici.Certo erano altri tempi…continuò,e poi dopo una breve pausa,forse in attesa di un nostro assenso continuò:meno pensieri,tanta speranza nel futuro,progetti…ambizioni.Che vuoi dire Gianni?Stupendomi nel sentire il suono della mia voce che in quel silenzio assumeva una strana tonalità.Voglio dire,rispose,che almeno io non ho realizzato nemmeno uno di quei progetti e che il futuro oramai non mi sembra più così promettente…oramai quel che è fatto e fatto.Quelle tristi parole piene di rassegnazione sapevano di disperazione dette da uno come Gianni.Lo guardai.La sua faccia era distesa ma il suo sguardo era spento e rivolto ad un punto immaginario al di là del fiume.Sai,mi disse guardandomi dritto negli occhi,con Mara non va poi tanto bene.Lei vorrebbe che io fossi un altro uomo,un uomo più tranquillo più casalingo..piu’….insomma quello che non sono stato e non sarò mai.Ma va’ disse Franco,con il suo modo caratteristico un po’ grezzo di semplificare sempre tutto,le donne sono tutte così…cosa credi che anche per me in famiglia sian tutte rose e fiori?Come se non lo avesse nemmeno udito,Gianni guardandomi continuo’:sai credo che stavolta con Mara sia veramente tutto finito.Stavo aprendo bocca per dire qualcosa che tirava in ballo la vita e le sue trappole quando Franco gridò:Ecco ci siamo l’ho bucato! Scrollandoci a fatica dalla nostra mente i pensieri di prima ,scattammo in piedi.La canna di Franco era piegata ad arco,la frizione del mulinello faceva udire il suo piacevole canto mentre il pesce prendeva lenza.Dopo un bel po’ di tempo il pesce era sulla sponda.Era un’enorme cavedano di una taglia incredibile,mai vista nella nostra vita.Gianni come tornato a nuova vita gridò: forza ragazzi che oggi è la giornata giusta.ora vi faccio vedere io come si pigliano i pesci! Adesso era un altro uomo,quello che conoscevamo da sempre,allegro,spavaldo,sicuro….ma lo conoscevamo bene veramente?Certo i suoi tristi pensieri erano ancora dentro di lui e se per un po’ si era abbandonato ad essi adesso aveva forse ritrovato la voglia di lottare,di vivere e forse anche di sperare.I giorni tristi sarebbero comunque ritornati,ma oggi no essi erano stati spazzati via da un grosso cavedano.Oggi nei nostri pensieri c’è spazio solo per i pesci                                                                                           

UNA GIORNATA ANDATA IN BIANCO di Luciano Edili
                                                                                       
Scorrevano veloci ai miei lati le luci offuscate di chissà quali paesi.L’autostrada sembrava un lunghissimo serpente grigio che scorreva scivolando sotto di me.Il contachilometri segnava i 140 km orari.La radio diffondeva una musica che conoscevo da tempo.Le prime luci del giorno riuscivano a gran fatica a respingere una notte troppo lunga.Uno sguardo all’orologio del cruscotto per capire che ero in anticipo di una buona mezzora per l’appuntamento con Paolo,quindi mi era concessa una pausa alla prossima area di servizio per un caffè e magari per far rifornimento di sigarette nel caso che la scorta onnipresente in macchina non fosse bastata.All’uscita dell’autostrada Paolo probabilmente mi stava già aspettando nonostante non fosse giunta ancora l’ora dell’appuntamento.Avevamo fissato telefonicamente pochi giorni prima per una pescata nel lago di Chiusi di cui lui conosceva”certi buoni posti”,abitando ormai da qualche anno in quella zona causa lavoro.Capodanno era passato da pochi giorni chiudendo il ciclo delle numerose feste che da Natale in poi avevano contribuito non poco,tra scorpacciate e bevute,a fare arrabbiare il mio fegato già in lotta da anni con caffè e sigarette in copioso numero.In macchina avevo l’indispensabile per la pesca a spinning,come la regola vuole e la mia fantasia lavorava di gran lena immaginando lucci leggendari all’inseguimento di grossi cucchiaini ondulanti.Alla stazione di servizio con la consueta mancata gentilezza dei baristi delle autostrade bevvi un pessimo caffè osservando due camionisti che discutevano su certe qualità meccaniche di una grossa motrice di recente fabbricazione.Risalii in macchina per l’ultima tappa del mio viaggio.Come avevo immaginato Paolo mi stava aspettando all’uscita dell’autostrada in pieno assetto da caccia! Si perché quando si parla di spinning si va a caccia del pesce e non a pesca,anche questo come la regola vuole.Appena sceso di macchina la frase di rito: è molto che aspetti?E lui: no…solo una mezzora,poi,in silenzio parcheggio la mia auto e con il fuoristrada di Paolo partiamo.Il lago ci accoglie pieno di buone promesse.Era tanto tempo che non tornavo sul lago di Chiusi,era ancora più bello e suggestivo di come lo ricordavo.Ci attendeva tra i canneti una grossa barca con la quale avremmo certamente pescato con comodità.Sciolti gli ormeggi partiamo remando verso il centro del lago.La giornata è bella e non fa troppo freddo,il sole ha già fatto la sua apparizione.Ed eccoci finalmente in pesca.Lunghissimi lanci con ondulanti di grosso peso.Passa la prima ora e non abbiamo visto ombra di coda.Erano circa le dieci quando Paolo incoccia finalmente in un grosso bestione.Due minuti di lotta cruenta ma il pesce ha la meglio e se ne va portandosi dietro un buon metro di filo senza farsi nemmeno vedere.Paolo,compagno di pesca taciturno,apre finalmente la bocca e con tono rassegnato dice: questo era senz’altro un luccio enorme..pensa ho strappato con il filo del trenta.Decidiamo allora di cambiare posto,così ci appostiamo vicino a un canneto dove il fondale è basso e continuiamo i nostri lanci.adesso sono io alle prese con un grosso pesce,sicuramente un luccio,che dopo un quarto d’ora di tira e molla,preferendo la libertà strappa di brutto e se ne va per i fatti suoi.E così abbiamo fatto l’ora di pranzo.Mentre a casa di Paolo pranziamo fuori il tempo cambia ed inizia a piovere.Sperando che il temporale sia passeggero ci tratteniamo a tavola parlando e bevendo dell’ottimo Whisky che Paolo aveva portato recentemente dalla Scozia dove si era recato per lavoro e naturalmente approfittando dell’occasione aveva pescato grossi salmoni nelle meravigliose acque di quel paese.Purtroppo il temporale non è passeggero così alle quattro del pomeriggio rinunciamo alla pesca pomeridiana ed io riparto per ritornare a casa.ed eccomi di nuovo in autostrada tra pioggia,tuoni e fulmini.mentre guido.Pregustando già una buona doccia calda tra le pareti di casa mia, penso se sarà il caso di raccontare questa giornata di pesca nei miei racconti radiofonici.
Poi decido per il si.Una volta raccontiamo anche una giornata in bianco.Perchè no?
                                                                                   
OGGI NON E' UN GIORNO BUONO PER LA PESCA di Luciano Edili

Oggi non è un giorno buono per la pesca.C’è il sole,non c’è vento,l’acqua e chiara ma non è un giorno buono per la pesca.E’ Primavera inoltrata,sul viale che costeggia il fiume c’è un intenso profumo di tigli che mi ricorda quando ero ragazzetto che per andare a pescare  partivo da casa mia in bicicletta e sui viali all’ora quasi deserti pedalavo lentamente assaporando quel profumo,con in testa la speranza di belle catture in solitudine, sull’Arno cittadino,grande fiume che a quei tempi ospitava ancora ,nella loro risalita dal mare magiche argentee Cheppie.Oggi tutto è perfetto,quasi come all’ora.Ma non è un giorno buono per la pesca.Se oggi andassi sul fiume ci andrei come un’estraneo che non sa apprezzare i piccoli meravigliosi dettagli che la natura ti mostra.Prenderei forse dei pesci ma scaricherei su di loro la mia rabbia la mia amarezza slamandoli e gettandoli sulla riva arsa dal sole,agonizzanti.E questo non va bene.Oggi mi sento troppo solo per andare a pesca e nessun compagno di battuta potrebbe colmare la mia solitudine perché oggi questa solitudine sopravvive a qualsiasi compagnia,ad ogni simpatico scherzo e anche ad una gara improvvisata sul fiume.
Oggi me ne sto a casa e baratto la fresca aria del fiume con una pessima bottiglia di whisky                                                                             
VECCHIE CARPE D'AUTUNNO di Luciano Edili


Quando il sole accecante non aggredisce più i boschi e le valli ma accarezza e riscalda tiepido le fronde giallastre,quando si fa sentire timido il primo canto breve del tordo,di solito ho già riposto da qualche mese le canne da pesca e me ne vado vagabondando pei boschi con il fucile in spalla ed il cane che allegro avanti a me,quasi trotterellando,fa cantare lo spesso tappeto di foglie che a terra risplendono di tenui colori.Soltanto di rado in questa stagione mi viene la voglia di andare a pesca ma quando mi succede è una voglia che mi assale prepotente e imperiosa e a nulla valgono le scuse che trovo a me stesso,come: ma no..orami è già tardi…e poi ho già riposto le canne! Ma poi,quasi fosse un rito,riapro l’armadio degli attrezzi da pesca ed improvvisamente,respirando profondo,mi tornano subito alla mente,nitide e chiare,le immagini delle mie scorribande sui fiumi e sui laghi e i ricordi di prede scintillanti che tanta emozione mi hanno regalato.Allora, travolto da una strana febbre,scelgo la canna adatta,il mulinello giusto,il retino più grande,metto pipa e tabacco nel giubbotto e vado per carpe.Si signori,avete ben capito,per carpe! Le ultime grosse carpe della stagione,quelle che tra breve si copriranno di melma e liquami in attesa della prossima nuova Estate.Ed eccomi sul luogo scelto con cura.Ho quasi volato in macchina per arrivarci,per strappare qualche minuto in più a questi pomeriggi tanto brevi.Tutto è cambiato da questa estate.Lo stagno sembra dormire lambito appena da foglie di vecchi salici ancora appese ai rami ricurvi.Anche il canto delle rane è più calmo,pacato,quasi in rispetto al grande silenzio che tutto avvolge.Finalmente ci sono!Con gesti rapidi e precisi,usando mille precauzioni per evitare anche il più piccolo rumore,monto la canna bolognese,quella di cinque metri,rigida ma non troppo e nervosa quanto basta,poi innesto il robusto mulinello svedese,scelgo la bobina già piena di nylon dello 0,20 resistente quanto occorre per il diverso di giostrare il pesce,se è grosso,senza doverlo salpare con forza.Poi è la volta della pasta,profumata da strani aromi,che innesco all’amo.Getto la lenza in acqua,ecco..proprio li dove volevo,vicino al quel grosso tronco semi sommerso.con il sughero che stona sull’acqua con il suo accecante colore rosso e poi due,tre brevi lanci di pasta arrotondata con le mani che rimangono profumate e appiccicose,poi mi siedo,accendo la pipa,aspiro profondamente il fumo e sono pronto a sfidare la misteriosa, corpulenta,affascinante signora carpa.Mentre con lo sguardo fisso il galleggiante e riattizzo la pipa pian piano scende in me una dolcissima calma.Il respiro si fa regolare e pian piano la tensione accumulata grazie a molte intense ore di lavoro in ufficio fra corrispondenza, fatture e telefonate,si allenta,poi scompare ed i pensieri passano lucidi chiari e logici come non mai nella mia mente.E ripenso alle cose più strane che credevo ormai dimenticate: sprazzi di ricordi di quando ero bambino,vecchi amori ormai lontani,volti e corpi di donne amate solo una notte,voci di amici non più incontrati da anni,mia figlia quand’era piccolina,la mia vecchia casa,alle cose di sempre….e poi d’improvviso,come per riportarmi brutalmente alla realtà,il sughero dal quale non ho mai distolto lo sguardo,sussulta una.due,tre volte,poi cammina sull’acqua come per magia ed infine sprofondo fino a scomparire alla mia vista.Le mie mani ubbidendo ad un riflesso incondizionato sono già da tempo strette intorno alla canna.Mi alzo lentamente e contemporaneamente tiro con la forza che basta.Come prima cosa sento l’impatto dell’amo col pesce,sembra quasi che in fondo alla lenza ci sia qualcosa di irremovibile,poi la reazione lenta e poderosa.E’ una carpa,una grossa carpa,una delle vecchie che in quello stagno hanno visto il passaggio di tante stagioni.Il cuore adesso mi batte forte in gola,i miei muscoli sono tesi,la mia concentrazione al massimo,il mio pensiero adesso: uno solo! Non perdere assolutamente quel pesce,La carpa si muove lenta e potente in una precisa direzione.La frizione del mulinello canta,quasi ad accompagnare quel deciso cammino.No,non devo farla andare in direzione dei rami sommersi che appena si vedono sotto il pelo dell’acqua,devo forzarla,è rischioso lo so,potrei strappare,ma non c’è alternativa ed in mente mi vengono mille dubbi e mi dico: hai visto stupido che con la tua mania di non eccedere in misura con il nylon,per poter giostrare sportivamente il pesce,adesso stai per perdere forse la carpa più grossa della tua vita! E intanto stringo la frizione e provo a far deviare il pesce che come per miracolo asseconda le mie manovre,e allora mi rincuoro e mi rimetto gli onori.E via così fra paure,timori…e diciamolo pure,compiacimento di me stesso in brevi attimi di megalomania.Vado avanti per mezzora,fino a che la bestia si fa vedere a fior d’acqua in tutta la sua maestosità.Cristo ! sarà sui cinque chili.Allora mi impongo la calma,sarebbe un peccato perderla adesso.Prendo pian piano la ripaiola,la metto in acqua e dopo due o tre tentativi fallimentari che mi fanno rischiare l’infarto,la carpa,questa grossa carpa è finalmente gradinata.Con il sudore,che nonostante la temperatura non proprio estiva,mi imperla la fronte poso la canna e prendo la carpa.Adesso è adagiata sull’erba fra la rete del guadino,le metto due dita sotto le grossissime branchie,la sollevo,la guardo,è enorme! E’ senz’altro più di cinque chili.La infilo a fatica nel grosso retino e solo allora mi accorgo che ho quasi spezzato il cannuccio della pipa che ho stretto tra i denti,che il sole sta morendo lontano dietro gli abeti e che un brivido freddo lungo la schiena mi annuncia che tra poco sarà buio e che è già fresco,Veloce smonto la canna,mi infilo il maglione di lana e mi avvio lungo il sentiero nel bosco che già assume tinte scure,verso la strada dove ho lasciato la macchina.Metto in moto,mi accendo una sigaretta e parto in direzione di casa pensando già al tepore della cucina,alla comodità della mia poltrona.al profumo del caffè sul fuoco e pian piano,quando già si vedono le luci della città,sono di nuovo quello di prima,già più teso,meno romantico,più duro…ma con un ricordo in più: quello di un pomeriggio d’autunno vissuto solo con me stesso in mezzo alla campagna,in lotta con una meravigliosa carpa di cinque chili che forse si è fatta prendere per darmi un’emozione in più!

                                                                            
Arrivai a Torre del Lago a circa mezzora dall’alba.Il paese era immerso nel sonno cullato dalle onde leggere del lago di Massaciuccoli che s’infrangevano dolcemente sui pontili.Era Domenica,una pungente Domenica di Novembre con la nebbia che mi aveva accompagnato da Firenze,in autostrada,fino a qui e che conferiva al paesaggio un aspetto irreale levandosi dal lago come fumo di brace e all’immaginazione, possibile qualsiasi cosa.. anche magia.Il sapore del caffè, bevuto frettolosamente in autostrada mentre facevo il pieno di benzina,era già sparito soffocato da fumo di troppe sigarette.Mentre pensavo che sarebbe stato il momento di berne un altro,come per chissà quale sortilegio dalla parte opposta della piazza si fece udire il,classico rumore cigolante di una saracinesca che veniva aperta e ciò che non osavo sperare si avverò.La nebbia lasciò filtrare la debole luce di una insegna:Bar pasticceria.La giornata non poteva iniziare meglio.Mi avviai verso quella che in quel momento consideravo un’oasi nel deserto.Entrai nel bar dove fui accolto da un buongiorno detto in coro da tre persone.Il barista.suo figlio e il vecchio Beppe che con aria vispa si sorbiva un grappino.Beppe,vecchio pescatore e barcaiolo nativo del posto che avevo conosciuto dietro indicazione di alcuni amici di pesca,aveva accettato di buon grado ad accompagnarmi in barca sul lago a pesca di lucci alla sola condizione.mi aveva detto,di regalargli una una robusta canna da lancio per pescare i lucci col vivo.Cosa che,grazie all’amico Sergio Bernardoni proprietario di un famoso negozio di articoli da pesca,non mi fu difficile reperire.Beppe,con la classica parlata viareggina così apostrofò il mio ingresso nel bar:bene che sia arrivato in anticipo so’Luciano così ci beviamo in pace un grappino e così dicendo mi porse un bicchiere stracolmo fino all’orlo di grappa.Un po’ per non deludere il vecchio Beppe,un po’ per no apparire agli occhi del corpulento barista un cittadino tutto acqua e latte,trangugiai ostentando naturalezza e fair play quell’acqua di fuoco e poi dopo un caffè feci anche il bis.Consegnai a Beppe la famosa canna che mi aveva chiesto che a giudicare dai suoi apprezzamenti doveva senz’altro superare di gran lunga le sue aspettivive.Tutto ciò mi fece meritare un altro grappino che se non altro mi rallegrò il cuore e mi tolse l’ultimo brivido di freddo:poi mentre Beppe si recava alla barca per togliere gli ormeggi oppure non so per quale altra diavoleria da fare,trassi dalla macchina la mia attrezzatura per la battuta consistente in una robusta canna da spinning sui due metri e mezzo equipaggiata di un altrettanto robusto mulinello caricato con monofilo dello 0,35,finale lenza in cordino d’acciaio ed un forse troppo eccessivo assortimenti di cucchiai,rapala,pesciolini finti e artificiali vari.Finalmente salimmo in barca,stava facendo giorno.Ci dirigemmo a sud costeggiando i folti canneti che delimitavano i contorni del lago creando delle ampie insenature.Nella fitta nebbia Beppe remava con sicurezza ed io  ascoltavo come estasiato lo sciacquìo delle onde che assumevano nel silenzio un suono dolce,sopraffatto a tratti dal canto incredibilmente vicino di un gruppo di Folaghe.Come ad ogni inzio di battuta di pesca l’eccitazione mi stava pian piano invadendo accompagnata da un leggero senso d’angoscia dovuta forse a quel meraviglioso e misterioso scenario del lago immerso nella nebbia.Accesi una sigaretta e mentre pensavo già all’azione e con la fantasia mi vedevo alle prese con pesci enormi e di chissà quale inesistente specie,la voce rude di Beppe ruppe il silenzio fugando i miei pensieri: Ecco siamo arrivati! Questo è il posto giusto! E così dicendo trasse in barca i remi e sedendosi in modo da  lasciarmi ampio spazio di movimento si impegnò nell’operazione di metter tabacco nella sua vecchia pipa con gesti sicuri e precisi quasi fosse un rito,estraniandosi completamente,almeno apparentemente,da tutto ciò che lo circondava.Davanti a me vi era una stretta insenatura delimitata da folti canneti palustri che dopo diversi metri lasciavano ai miei occhi la visone del lago aperto fumante di nebbia.Il silenzio adesso era perfetto ed ogni mio piccolo movimento provoca suoni che alle miei orecchie diveniva boati.Mi alzai in piedi e trovata la giusta posizione. Finalmente effettuai il primo lancio mandando l’ondulante ad immergersi vicinissimo alle canne.Iniziando il recupero,quando già pensavo di sostituire l’artificiale con uno ruotante,avvertii due forti abboccate in rapida successione ma non riuscii a ferrare il pesce forse a causa del tragitto troppo corto del recupero.Intanto la nebbia si era fatta più fitta tanto che adesso non riuscivo a scorgere il largo del lago.Beppe non sembrava interessato a seguire le fasi della pesca e se ne stava in balia di chissà quali pensieri aspirando il suo puzzolente tabacco,quasi sicuramente un trinciato forte,come se tutto ciò che lo circondava non lo riguardasse affatto.Decisi di lanciare più lontano verso il lago aperto.Non vidi dove andò ad inabissarsi l’artificiale.Maledetta nebbia!Giudicai che fosse stato un buon lancio dal tempo che passò dallo stesso al sentire il  classico pluf del cucchiaio che cadeva in acqua.Con la strana e spiacevole sensazione di non avere la certezza di dove avessi esattamente lanciato iniziai il recupero.Pochi giri di manovella ed accadde l’imponderabile: un gran colpo mi avvisò che l’artificiale era stato gradito da qualche pinnuto abitatore di quello specchio d’acqua.Allentai la frizione al mulinello e la lotta ebbe inizio.Fu un lungo tira e molla non certo agevolato dalla totale assenza di visibilità ma nonostante tutto riuscii a portare il pesce vicino alla barca ed il rischio adesso era che quello vi s’infilasse sotto e stringendo tutta la frizione tenendo il pesce in tensione continua riuscii non so come ad evitare che ciò accadesse.Poi lo vidi a fior d’acqua in tutta la sua orrida bellezza.Era un luccio di buona taglia:Beppe che fino a quel momento aveva seguito la lotta con sguardo di sufficienza,improvvisamente agilissimo prese dal fondo della barca il retino e mentre trascinavo la bestia ormai esausta, la trasse a bordo.Era un bel luccio sui 10 chili.Intanto la nebbia si era dissolta lasciando lo spazio ai raggi di un debole sole invernale che riscaldava poco ma che certo rallegrava il cuore.Rimanendo nello stesso posto la pesca si dimostrò redditizia.Altri bei tre lucci di cui uno solo sotto i due chili.Ma il magico momento dell’intera giornata fu quello regalatomi dalla prima cattura.L’incontro con quel grosso luccio avvolto nella nebbia che da anni mi attendeva in quel profondo e misterioso lago.
NEVE ALTA E CAVEDANI di Luciano Edili

Correva l’anno 1965.Quell’inverno la neve non mancò,anzi nevicò al punto tale che sebbene avessi allora solo 17 anni non ricordavo a memoria un’altra nevicata uguale nella nostra città.Abitavo a quell’epoca alle Cure,zona periferica ai piedi di Fiesole ed il ritrovo preferito per ritrovarsi con gli amici che come me condividevano la passione per la pesca era una botteguccia di articoli sportivi, con poca scelta a dire il vero,da pesca della zona dove con la scusa di acquistare un galleggiante e un po’ di ami passavamo gran parte del nostro tempo a parlare fra noi e con il Roberto,l’allora proprietario del negozio,anch’esso pescatore sfegatato.Naturalmente parlavamo di pesca,di catture eccezionali,di pesci persi all’ultimo tuffo,di giornate andate in bianco per le quali trovavamo sempre una valida scusante e di tutto ciò che insomma riguardava la pesca,questa nostra radicata passionaccia.Per Roberto provavamo una malcelata ammirazione in quanto sui pesci ed i vari modi per pescarli la sapeva veramente lunga e ce lo aveva dimostrato tante..troppe volte sul fiume,facendo il cestino pieno mentre noi,sebbene carichi di entusiasmo,andavamo quasi regolarmente in bianco.Inutile dire quindi che accoglievamo i suoi consigli come oro colato.
Era un tardo pomeriggio di sabato,c’eravamo veramente tutti nella botteguccia:il sottoscritto,Stefano,Giovanni e Fabio.immersi in racconti e discussioni,seduti a semicerchio intorno alla vecchia stufa a kerosene mentre fuori la neve aveva appena cessato di cadere trasformando le vie della città in candidi nastri di seta e facendo pian pian piano invadere i nostri animi di una dolce sensazione di tranquillità.Fummo interrotti nel bel mezzo di un’accesa discussione dal Roberto che interrompendoci sul più bello e lasciandoci a bocca aperta disse: domani mattina vado per cavedani,a Rignano sull’Arno,vicino al ponte e vedrete che se al l’amo ci metto i pallini di pollo…son pesci sicuri.Considerato il tempo che faceva, le nostre espressioni furono un misto di stupore e incredulità,condite dal sospetto che il Roberto ci volesse prendere in giro.Ma guardando meglio il suo ghigno e ben sapendo da che pulpito veniva la predica fui il primo a parlare: ci vengo anch’io dissi.Stefano,dissipando definitivamente l’atmosfera di dubbio e scetticismo,alzandosi in piedi e spegnendo nervosamente la sua sigaretta,parlò per tutti.Veniamo anche noi! Si tutti! Così la combriccola fu formata.Una squadra di cinque pazzi per insidiare i cavedani con la neve a mezza gamba.Roberto,visibilmente felice di averci svegliato dal torpore dei ricordi del fiume che da mesi non vedevamo con voce volutamente dittatoriale ordinò: forza allora,non perdiamo tempo,andate da Gigi il pollaiolo e fatevi dare quel pacchetto che gli ho fatto preparare stamani.Dunque era tutto premeditato.Ancora una volta quella vecchia volpe del Roberto aveva colpito nel segno.Stefano e Giovanni si avviarono velocemente alla volta di Piazza delle Cure da Gigi il pollaiolo per andare a prendere i famosi pallini di pollo che per chi non lo sapesse sono la milza del pollo,che a Firenze chiamiamo così.Intanto noi,in bottega,cominciammo ad esporre i nostri dubbi sull’esito della battuta dell’indomani.Ma Roberto,per tutta risposta,ci narrò di catture di grossi cavedani,risalenti all’anno prima proprio in quel periodo a Rignano Sull’Arno, a cui naturalmente aveva partecipato.Un po’ perchè sapevamo che Roberto non era un “ballista”.un po’ perché la voglia di tornare a pesca era tanta,fugammo ogni dubbio e ci impegnammo in scelte meticolose di ami,di galleggianti e varie,tutto ciò che insomma ci sarebbe potuto servire l’indomani mattina.La fredda luce del giorno ci trovò in attesa del nostro maestro in pesca che arrivò in ritardo di pochi minuti sul luogo dell’appuntamento fissato.La città era ancora silenziosa ,quasi la neve avesse fermato il tempo.Solo qualche finestra illuminata ci faceva indovinare all’interno delle case qualche persona ancora un po’ addormentata che si apprestava ad alzarsi così presto di Domenica per chissà mai quale ragione.La vecchia seicento di Roberto arrivò lasciando tracce sulla neve.In un attimo eravamo a bordo dopo naturalmente esserci disputati a spintoni il posto anteriore.Le canne,le famose fiorentine,costruzione
Arduino,furono fissate con vecchi elastici sul portabagagli.Così il viaggio ebbe inizio fra battute scherzose,fumo di sigarette e tavolette di buon cioccolato distribuita da Stefano,noto goloso della zona.Sbuffando e lasciando dietro di se una vera e propria cortina fumogena,che lasciava indovinare tutta la sua vecchiaia,la seicento ci portò fino a Rignano.In riva al fiume non c’èra anima viva.Solo soffice neve e arbusti scheletriti dal ghiaccio.L’acqua era bellissima,di un verde intenso e gelido che metteva i brividi.In un attimo fummo sulla sponda.La corrente era giusta per la pesca alla passata.Ci disponemmo in fila con Roberto a monte che gettava copiosamente in acqua interiora di pollo allo stato naturale poiché,come diceva lui,se non c’era l’aroma i pesci non avrebbero gradito la pastura.Ecco ora tutti e cinque i galleggianti erano in pesca.Fra una razzolata e l’altra andavamo a scaldarci come meglio potevamo ad un piccolo falò che alimentavamo ogni tanto con sterpi e arbusti irriditi dal gelo.Passò forse una mezz’ora e la prima canna si piegò,da brava fiorentina,ad arco.Come al solito il suo proprietario era Roberto che con maestrìa, giostrava con il sorriso sulle labbra,quasi sicuramente un cavedano di buone dimensioni.Infatti,mentre ancora guizzava nel guadino,fu da noi giudicato intorno al mezzo chilo.Questa cattura fece si che tutti ci impegnammo nella pesca e dopo pochi minuti fu la volta di Stefano:ancora un grosso cavedano!Dopo di che fu une vero e proprio carosello di catture.I cavedani parevano venire tutti dallo stesso stampo,tanto erano uguali fra loro.Soltanto uno si distinse tra gli altri per il suo ragguardevole peso di un chilogrammo.Naturalmente fu catturato ancora da “lui”,l’artefice di quella splendida mattinata di pesca che ci vide ritornare a casa visibilmente felici.E per finire in bellezza non trascurammo la fermata la bar dove eravamo di casa e dove da perfetti esibizionisti raccontammo ad amici e avventori,tra i quali anche dei pescatori che quella mattina avevano preferito le calde coltri del letto,dei ben sette chili di cavedani,pesati in nassa e poi rilasciati,forse caduti dal cielo nel fiume,il giorno prima insieme a tanta neve